Giorgia Meloni

In un recente passo verso una maggiore sensibilità e inclusività nel linguaggio, il governo guidato da Giorgia Meloni ha deciso di eliminare dai documenti ufficiali termini come «handicappato» e «diversamente abile», introducendo un lessico più rispettoso e rappresentativo delle persone con disabilità. Questa scelta, che ha attirato un ampio consenso ma anche alcune critiche, si inserisce in un contesto di crescente attenzione al valore delle parole nel plasmare percezioni sociali e identità.

Perché questa decisione?

La decisione nasce dalla consapevolezza che il linguaggio non è mai neutrale: i termini che utilizziamo influenzano il modo in cui percepiamo le persone e i gruppi sociali. Parole come «handicappato» sono spesso cariche di una connotazione negativa e discriminatoria, retaggio di un passato in cui le persone con disabilità erano percepite come inferiori o bisognose di pietà. Anche «diversamente abile», introdotto per superare termini più esplicitamente stigmatizzanti, è stato criticato perché paternalistico e poco aderente alla realtà.

Le persone con disabilità, infatti, non sono «diversamente abili» in senso universale: il termine tende a minimizzare le difficoltà reali che molte affrontano e può risultare alienante. La nuova terminologia proposta si concentra sull’uso del termine «persona con disabilità», in linea con le indicazioni della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia nel 2009. Questo linguaggio pone l’accento sulla persona prima della disabilità, riconoscendone la dignità e la complessità.

Un linguaggio che cambia la cultura

Il governo Meloni, attraverso questa iniziativa, dimostra un impegno a promuovere un cambiamento culturale. Modificare il linguaggio ufficiale non è solo una questione formale: si tratta di un passo verso una società più inclusiva, dove le politiche pubbliche e il discorso istituzionale contribuiscono a costruire una realtà in cui le persone con disabilità si sentano riconosciute e valorizzate.

La scelta di abbandonare termini antiquati è anche un segnale per il settore privato, la scuola, e i media, incoraggiando un’adozione più ampia di un linguaggio rispettoso e aggiornato. È un invito a superare stereotipi e pregiudizi, favorendo una narrazione che metta al centro i diritti, le capacità e i bisogni specifici delle persone con disabilità.

Critiche e sfide

Non mancano, tuttavia, alcune critiche. C’è chi accusa il governo di concentrarsi sul linguaggio mentre rimangono aperte questioni più urgenti, come l’accessibilità ai servizi, il sostegno economico alle famiglie e l’inclusione lavorativa. Alcuni ritengono che queste iniziative rischino di essere percepite come un’operazione di facciata, se non accompagnate da interventi concreti sul piano delle politiche per la disabilità.

Altri sottolineano che il cambiamento linguistico potrebbe incontrare resistenze nella società, specialmente in contesti dove persistono mentalità e atteggiamenti conservatori. Educare e sensibilizzare la popolazione diventa, dunque, una priorità per rendere efficace e duraturo questo cambio di paradigma.

Il futuro della disabilità in Italia

L’iniziativa del governo Meloni rappresenta un punto di partenza per una riflessione più ampia sul ruolo delle istituzioni nel promuovere inclusione e uguaglianza. Se accompagnata da investimenti significativi in servizi e infrastrutture per le persone con disabilità, questa scelta linguistica potrà avere un impatto profondo e positivo.

Rimane da vedere come questo approccio verrà implementato a livello pratico e se stimolerà un’adozione diffusa di pratiche inclusive in tutti i settori della società. Quello che è certo è che le parole contano: possono ferire o valorizzare, escludere o includere. Con questa decisione, l’Italia sembra voler imboccare la strada di un linguaggio che costruisce ponti, anziché barriere.