Negli ultimi anni, le politiche fiscali in molti paesi europei si sono orientate verso l’alleggerimento del carico fiscale sui ceti medio-alti, spesso con una diminuzione delle imposte sui redditi tra i 50 e i 60 mila euro annui. In parallelo, si è osservato un crescente peso fiscale a carico dei cittadini single, considerati, a torto o a ragione, più “capaci” di sostenere un’imposizione fiscale maggiore rispetto alle famiglie. Tuttavia, un governo che strutturi la propria strategia fiscale su questi presupposti rischia di alimentare disuguaglianze, diminuire il potere d’acquisto dei lavoratori e, alla lunga, condurre l’economia verso un potenziale fallimento.
L’inequità del carico fiscale sui single
L’idea di aumentare le tasse sui single si basa sull’errata convinzione che chi non ha figli o una famiglia da mantenere goda di maggiore benessere economico. Ma questa visione non considera le realtà economiche moderne. I single, infatti, spesso devono sostenere il costo di vita senza la possibilità di dividerlo con un partner o di beneficiare di agevolazioni familiari su beni di consumo e servizi essenziali. Penalizzare i single significa aumentare la loro pressione fiscale, riducendo ulteriormente il loro potere d’acquisto, già compromesso dall’aumento generale dei prezzi.
Il rischio di impoverimento delle giovani generazioni
Le generazioni più giovani, specialmente nei paesi europei, affrontano già un mercato del lavoro precario e costi di vita elevati nelle grandi città. Tassare ulteriormente i single colpisce soprattutto questa fascia demografica, formata in gran parte da giovani lavoratori che spesso scelgono o sono costretti a vivere senza un partner a causa delle instabilità economiche e della difficoltà di acquistare una casa. Penalizzare i single rischia di prolungare ulteriormente il tempo in cui questi giovani decidono di creare una famiglia, aggravando i già bassi tassi di natalità e la questione demografica che attanaglia molti paesi.
Sgravi fiscali ai ceti medio-alti: un aiuto mal riposto?
Al contempo, diminuire le tasse per chi guadagna tra i 50 e i 60 mila euro annui può sembrare una strategia per sostenere il ceto medio, ma va interpretata con cautela. Infatti, se da una parte questo intervento potrebbe favorire i consumi in questa fascia di reddito, dall’altra rischia di essere percepito come iniquo, soprattutto per chi guadagna molto meno e fatica a coprire le spese di base. Favorire una parte della popolazione che già gode di un certo benessere economico, senza intervenire su chi vive in condizioni di maggior bisogno, potrebbe aumentare il divario sociale e la frustrazione di chi resta escluso da tali agevolazioni.
Conseguenze macroeconomiche: meno consumi, meno crescita
Un modello fiscale che penalizza i cittadini single e agevola i redditi medio-alti può avere ripercussioni negative sulla domanda aggregata. Quando si riduce il potere d’acquisto di chi vive con redditi bassi e medio-bassi, il risultato diretto è una riduzione della loro capacità di consumo, che rappresenta una componente essenziale per la crescita economica. È importante considerare che il tessuto produttivo delle economie occidentali si basa soprattutto sui consumi interni; senza un sufficiente sostegno alla domanda da parte delle fasce più ampie della popolazione, l’economia può entrare in una fase di stagnazione.
Inoltre, una politica fiscale che avvantaggia esclusivamente i redditi medio-alti e penalizza chi vive da solo rischia di generare insoddisfazione e sfiducia verso le istituzioni. Gli elettori potrebbero percepire questo approccio come una scelta politica che ignora i bisogni reali della maggioranza, minando il consenso verso il governo e creando terreno fertile per movimenti di protesta e per la diffusione di sentimenti anti-istituzionali.
Quali alternative?
Esistono alternative a una politica fiscale di questo tipo. Una possibilità potrebbe essere quella di strutturare un sistema di detrazioni e incentivi basato su un criterio di progressività reale e non su discriminazioni di status familiare. Una riforma fiscale equa potrebbe:
- garantire agevolazioni a chi guadagna meno, a prescindere dallo stato civile;
- modulare le aliquote in modo da incentivare il risparmio e i consumi anche per i redditi più bassi;
- rafforzare le politiche sociali di sostegno, come sussidi abitativi e agevolazioni sui beni di prima necessità.
Inoltre, adottare politiche che incentivino la formazione di nuove famiglie e sostengano l’occupazione giovanile, ad esempio attraverso detrazioni o incentivi per l’acquisto della prima casa, avrebbe un impatto positivo sia sul piano sociale che economico.
Conclusioni
Un governo che tassa i single e abbassa le tasse ai redditi medio-alti si muove in una direzione che non tiene conto dei cambiamenti sociali e delle vere necessità economiche della popolazione. Penalizzare i single e avvantaggiare selettivamente solo una fascia della popolazione rischia di frammentare ulteriormente il tessuto sociale, impoverire i consumi e, infine, limitare le possibilità di crescita economica. Una politica fiscale più equa, volta al sostegno dei più vulnerabili e al mantenimento della coesione sociale, appare quindi non solo più giusta, ma anche strategicamente necessaria per evitare un futuro economico e sociale insostenibile.