La formazione della nuova Commissione Europea, in teoria uno degli organi di governance più potenti e orientati al futuro dell’Europa, si trova al momento in una situazione di stallo a causa delle difficoltà nella nomina dei vicepresidenti. Questo impasse, che non è certo il primo del suo genere, getta una luce impietosa su un problema antico ma sempre attuale: l’enorme peso delle dinamiche di potere interno rispetto alle esigenze e alle priorità dei cittadini europei.
Il nodo della nomina dei vicepresidenti
Il ruolo di vicepresidente della Commissione Europea è cruciale, sia per il prestigio che porta con sé sia per l’influenza politica che conferisce. I vicepresidenti, infatti, non sono solo figure di rappresentanza, ma veri e propri attori con il compito di supervisionare aree strategiche come il clima, l’economia, la digitalizzazione e la politica estera. La scelta dei vicepresidenti richiede perciò delicate trattative tra i Paesi membri e le principali forze politiche, un’operazione che dovrebbe, in linea teorica, rispecchiare un equilibrio tra competenze, diversità nazionale, e priorità dell’Unione.
Eppure, la realtà attuale mostra che il processo decisionale si arena di fronte a logiche di spartizione del potere che poco hanno a che fare con le competenze dei singoli o con i reali bisogni dell’Europa. La posizione di vicepresidente, così ambita e potente, è diventata uno dei principali nodi di scontro tra gli Stati membri e le forze politiche che cercano di occupare quanti più ruoli possibili. Di fronte a questa lotta intestina, i problemi reali – dalla crisi climatica alle questioni migratorie – vengono inevitabilmente messi in secondo piano.
L’ombra delle “Poltrone” sul bene comune
Questo stallo evidenzia una realtà scomoda ma diffusa: spesso la politica, anche a livello europeo, sembra operare più per l’assegnazione delle poltrone che per l’effettivo benessere dei cittadini. Lungi dall’essere pura retorica, il concetto di “occupazione delle poltrone” descrive una dinamica che può essere particolarmente dannosa in un’istituzione come la Commissione Europea, la quale dovrebbe rappresentare un organo tecnocratico e sovranazionale, orientato a risolvere problemi concreti.
Le trattative per la nomina dei vicepresidenti mostrano che gli Stati membri e i leader politici nazionali continuano a trattare la Commissione come un’estensione della loro arena politica domestica. Ogni Paese desidera garantire una rappresentanza importante e influente, anche a costo di sacrificare il criterio della competenza. Questa logica di spartizione riduce la Commissione a un campo di battaglia tra interessi nazionali, piuttosto che a un organo in grado di coordinare un progetto comune per tutta l’Unione.
Le conseguenze per i cittadini
Questo stallo non è privo di conseguenze per i cittadini europei. L’immobilità politica a livello europeo rallenta infatti l’approvazione e l’implementazione di nuove politiche che rispondano alle sfide attuali. In un momento in cui l’Europa è chiamata ad affrontare una transizione ecologica, una rivoluzione digitale, e un’integrazione più profonda per gestire la politica estera e di difesa, le lungaggini burocratiche e gli stalli politici non fanno che aumentare il distacco tra le istituzioni e i cittadini.
Inoltre, lo spettacolo di questa lotta per le poltrone contribuisce a generare un senso di sfiducia verso le istituzioni europee, alimentando il sospetto che le decisioni non vengano prese nell’interesse generale ma per tutelare posizioni di potere. Questo diventa particolarmente pericoloso in un’epoca in cui i movimenti populisti e antieuropeisti sfruttano proprio questa percezione per minare l’unità e la cooperazione all’interno dell’Unione.
Come ripensare il processo decisionale?
Per superare questo genere di impasse, occorrerebbe una revisione profonda delle dinamiche di nomina e di rappresentanza nella Commissione Europea. La Commissione, come principale organismo esecutivo dell’UE, dovrebbe garantire trasparenza e una maggiore attenzione al merito, evitando che le nomine diventino semplicemente una questione di “compromesso politico” tra Stati membri. Potrebbe essere utile adottare criteri più stringenti in termini di esperienza e competenza, lasciando meno spazio a logiche di spartizione tra Paesi.
Inoltre, l’UE potrebbe trarre beneficio dall’introduzione di meccanismi di accountability che permettano ai cittadini di monitorare più da vicino il processo di formazione della Commissione e la sua operatività. Rafforzare il ruolo del Parlamento Europeo nel processo di nomina, per esempio, potrebbe aiutare a rendere queste dinamiche più trasparenti e, quindi, più legittime agli occhi dei cittadini.
Conclusione: l’Europa di domani è a rischio
Lo stallo della nuova Commissione Europea e le difficoltà nella nomina dei vicepresidenti rivelano una verità difficile da ignorare: la politica europea, ancora oggi, è fortemente condizionata da logiche nazionalistiche e di potere. Senza un cambiamento radicale nell’approccio alla gestione delle nomine, il rischio è quello di allontanare sempre di più i cittadini dalle istituzioni europee, con il pericolo di mettere in crisi l’intero progetto di integrazione. Per l’Europa, dunque, non è più tempo di occupare poltrone, ma di mettere il bene comune al centro di ogni decisione.