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Gibellina, un comune siciliano situato nella Valle del Belice, incarna un simbolo profondo di distruzione, memoria e rinascita. La sua storia recente è segnata dal tragico terremoto del 1968, che rase al suolo l’antico borgo medievale e spinse i suoi abitanti a ricostruire la città a circa 20 chilometri di distanza. Oggi, il ricordo di quel sisma è indissolubilmente legato a un’opera d’arte unica: il Cretto di Burri, un monumento alla memoria creato da uno dei più grandi artisti del Novecento, Alberto Burri.

Il terremoto del Belice: la distruzione di Gibellina

Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968, una serie di scosse devastanti colpì la Valle del Belice, una zona rurale della Sicilia occidentale. Gibellina fu uno dei comuni più colpiti: quasi tutti gli edifici vennero distrutti o gravemente danneggiati, costringendo gli abitanti a trovare rifugio in tendopoli e baraccopoli per mesi, se non anni.

Il bilancio umano del sisma fu drammatico: centinaia di morti e migliaia di sfollati in tutta la regione. Ma il terremoto non distrusse solo case e vite; cancellò anche il tessuto sociale, economico e culturale di comunità profondamente radicate nel territorio.

La nuova Gibellina: un esperimento di rinascita

La ricostruzione della città non avvenne sul sito originale, ma a circa 20 chilometri di distanza, in una zona più pianeggiante. Questo spostamento, pur motivato da esigenze logistiche e di sicurezza, fu un elemento controverso. Gli abitanti si sentirono sradicati dal luogo che custodiva la loro memoria collettiva.

La nuova Gibellina fu concepita come un laboratorio architettonico e artistico, sotto l’impulso del sindaco Ludovico Corrao, che voleva trasformare la città in un simbolo di rinascita attraverso l’arte contemporanea. Architetti e artisti di fama internazionale furono coinvolti per creare un ambiente urbano innovativo. Nacquero così opere come il Sistema delle Piazze di Franco Purini e Laura Thermes e installazioni di artisti del calibro di Pietro Consagra e Mimmo Rotella. Tuttavia, la città nuova non riuscì a ricostruire completamente il senso di comunità perduto: molti dei suoi spazi rimasero incompiuti o scarsamente utilizzati.

Il Cretto di Burri: un memoriale di cemento bianco

Nel sito della vecchia Gibellina, dove una volta sorgevano le case e le strade del borgo, oggi si trova il Cretto di Burri, una delle opere di land art più imponenti al mondo. Alberto Burri, celebre artista italiano, concepì il Cretto come un vasto sudario di cemento che ricopre i ruderi della città distrutta.

Realizzato tra il 1984 e il 1989 e completato nel 2015, il Cretto è una distesa di cemento bianco che riproduce la mappa della vecchia Gibellina, con i suoi vicoli e piazze delineati da fenditure profonde. Ogni crepa rappresenta una strada, mentre i blocchi di cemento ricordano gli edifici ormai scomparsi.

Quest’opera monumentale è molto più di un’installazione artistica: è un luogo di memoria e riflessione, un muto testimone della tragedia e del dolore che colpirono Gibellina e i suoi abitanti. Il bianco accecante del cemento, combinato con il silenzio che pervade il sito, crea un’atmosfera di solenne contemplazione, trasformando il Cretto in un mausoleo a cielo aperto.

Gibellina oggi: memoria e sfide

Oggi Gibellina Nuova continua a essere un luogo carico di contrasti. Da un lato, è un museo a cielo aperto che attrae visitatori da tutto il mondo grazie alla sua architettura unica e al Cretto di Burri. Dall’altro, è una città che affronta le sfide di una comunità in lotta per mantenere vivo il proprio spirito identitario, tra l’abbandono e la voglia di rinascita.

Il terremoto del 1968 e la successiva ricostruzione hanno lasciato segni indelebili, ma hanno anche reso Gibellina un esempio emblematico di come l’arte e l’architettura possano diventare strumenti per elaborare il lutto e guardare al futuro.

Gibellina è, quindi, un simbolo complesso: un luogo in cui distruzione e creazione, dolore e speranza, si intrecciano in un dialogo senza fine. Il Cretto di Burri, come una cicatrice bianca nella terra, ricorda al mondo l’importanza di preservare la memoria, anche nei momenti più bui.

Di Giuseppe Cianci

Sono Giuseppe, ho 66 anni e una vita ricca di esperienze e passioni. Scrivere mi permette di esprimermi in modo diretto, senza fronzoli. Il mio stile è semplice ma sincero, e quando parlo attraverso le mie parole cerco sempre di mantenere un tono cordiale.